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Il modo giusto di mangiare i gamberi (in veneziano)

I diese comandamenti
overossia
LA MANIERA GIUSTA DE MAGNAR I GAMBARI

1) Mètarse el bavariol (grando).
2) Mètar da ' na banda piròn e cortèo (che no i ocore).
3) Ciapàr el gàmbaro intiero, coi déi e cavarghe le sate par ciuciarle una a la volta. Quele grande, bisogna strucarle fra i denti per magnarghe la polpa che le ga dentro.
4) El gàmbaro, adesso, xè senza sate. Ocore revoltarghe verso la testa la crosta granda che el ga su la schena. Par raggiunger ' sto intento, basta métar un'ongia dove finisse la crosta e scominzia la coa, e alzar la crosta. Se vedarà el "coral" (bocon d'oro). Se lo lassa star.
5) Se schinza la coa fra do déi, scominziando dal fondo verso la testa.
6) Se se ciùcia i déi.
7) Se revolta el gàmbaro par curarghe la coa verzendoghe le scorze da le do parte, come uno scampo o ' na canocia.
8) Se ciùcia le scorze (e, da novo, anca i déi).
9) Tegnendo el povero gàmbaro, cussì mal ridoto, coi déi de ute do le man, se lo revolta par drito e se magna el "bocon d'oro" insieme con quel che ghe xe ne la coa.
10) Se tocia la polenta nel tocéto e se torna a lecarse i déi.

SUGERIMENTO PAR I MAI CONTENTI:
Butàr le sate e le scorze dei gàmbari in una scuela de vin bianco; e bévar el vin.

MORAL:
"co no ghe xe più gàmbari, xe bone anca ' e sate"

 

Il "Codice Perdinci"   (rinvenuto presso L'Osteria Alla Grande - MI)

È più che naturale che un'importante opera inedita susciti curiosità al suo apparire; quando poi si tratta di una scoperta eccezionale corre l'obbligo di corredarne la visione delineandone le peculiarità con alcuni cenni critici.

Rinvenuta casualmente da un ricercatore dilettante presso il fondo archivistico del convento dei cappuccini decaffeinati di Legnate sul Membro, già al suo apparire, nell'Aprile 2007, quella che si presentava come una tarda copia rinascimentale della celeberrima "Ultima Cena" veniva battezzata dall'Asnaghi "Codice Perdinci", in ciò rifacendosi al parere di Agnese Pulciani, massima esperta europea di iconografia applicata a un turpiloquio labiale, la quale rilevava come esistesse una straordinaria comunanza fra i personaggi ritratti nell'espressione stupefatta di chi pronuncia l'antico "Perdinzi" (o anche perdinzirinzi), mutato poi nel moderno "Perdinci". Escluso a priori il "Perdincibacco".

L'opera, sempre a cura dello stesso Asnaghi, è stata sottoposta a indagini spettroradiometriche e, considerato il soggetto, all'esame fondamentale dell'alcotest, colesterolo, elettroforesi, zuccheri, olio, freni e antigelo. In essa la composizione leonardesca è spunto per mettere in scena un racconto fitto di significati e simboli che rimangono tuttora da decifrare; da futuri studi possiamo aspettarci sviluppi di interpretazione specie nella linea indicata da Baltrusaitis. Per ora limitiamoci ad alcune osservazioni sui personaggi ritratti.

La prima, riguarda l'Autore medesimo, che come ci indica l'esame calligrafico della firma risulta tale Sifoni e Sikoni, il che rimanderebbe a quel Rampinum Syronum del Manoscritto Fagnani depositato presso l'Ambrosiana: il collegamento con il personaggio denominato Matita porterebbe a identificarlo come autoritratto.

Degli altri osserviamo: Trapano, personaggio centrale in un banchetto dove domina il vino, il che invita a considerare la presenza simbolica della vite e quindi concludere trattarsi di personaggio legato all'ambiente del Fai da te o della ferramenta. Tristezza appare sicuramente di area romana dato che per far vita meno amara  (triste, appunto) me so comprato sta chitara. Il Conte si delinea come personaggio che evidentemente non conta ma la conta, quindi o un ciarlatano o un contabile. Sintesi, chiaramente un filosofo bizantino. Lumiere, Roccia, Allegria, Nicchia, Gigion e Malnat sprofondano nel mistero delle simbologie carnascialesche medievali che ruotano nella tradizione dell'antico borgo di Baggio.

Caso a parte Sentenza; figura enigmatica tuttora al vaglio degli esperti. Smilzo è quello più compreso nel ruolo del miracolato che esclama perdinci. Nessun dubbio invece su Santa Pazienza, devozione oggi decaduta ma presente nello scomparso calendario lotaringio in data 31 febbraio.

Sempre ai fini di futuri esiti sulle simbologie presenti nell'opera è da rilevare, accanto allo Smilzo, un misterioso foglietto recante ben leggibile la parola "Ricevuta". Le domande si accavallano: ricevuta di cosa e perché? E specialmente, cosa è una ricevuta?

Milano, 16 dicembre 2008
(ringraziamo molto gli "autori" e lanciamo un invito a tutti: Alla Grande ...)

 

AL MARCA' (Al Mercato)
 
che alegra confusion
ghe gera al marcà
i sigava tuti come mati
done omini e putei
se se spenzeva de qua e de là
se rideva per gnente
se fasseva comarò
ne le cale larghe o strete
co' le sporte piene de roba
se se fermava in ostaria
a bevar ombre in compagnia
e po' pèr desmentegar
i crussi de la vita
zò n'altra ombra
pèr darse un fià de morbin,
e se cantava tuti felici
a morte l'acqua, viva el bon vin!  (Mario Stefani)

 

Considerazioni sull'oste (milanese)

Quand l'ost el va de spess al fontanin
pò dass che sia per lù on impegn sincer;
se sa mai! Tegnel d'oeucc se 'l slonga 'l vin
cont la scusa de resentà i biccer!

Quando l'oste va spesso alla fontanella può darsi che sia per lui un impegno sincero; non si può sapere! Tienilo d'occhio se allunga il vino con la scusa di risciacquare i bicchieri!.

 

L'osteria dopo un funerale (milanese)

Pò parì on ver contrast dopo on funeral
l'andà a mangià e bev a l'osteria
per trà in despart ogni malinconia ...
Come usanza l'eva propi original!

Può parere un vero contrasto dopo un funerale l'andare a mangiare e bere all'osteria per trarre in disparte ogni malinconia ... Come usanza era proprio originale!

 

In osteria anche galantuomini (milanese)

A l'osteria se fa l'amicizia,
se canta, se rid, se ne bev on quaj quart
e se passa on poo de temp in letizia
cicciarand del pù e del men, giugand a cart.
Per fa 'ndà giò pù ben quaj calis de vin
e mantegnì viva la conversazion
a vorell se pò fà anca on bel spontin
e juttà cont on grappin là digestion.
Contrariament a quel che pensa la gent
a l'osteria gh'hin fior de galantomm,
minga domà gajnatt o quej che fan nient,
gh'hin quej che canten meij di cantor del Domm
e gh'avìi de savè che a l'osteria
ve passen j arlii, trovii l'allegria.

All'osteria si fa amicizia, si canta, si ride, se ne beve qualche quarto e si passa un po' di tempo in letizia chiacchierando del più e del meno, giocando a carte. Per fare andar giù meglio qualche calice di vino e mantenere viva la conversazione, a volerlo si può fare anche un bello spuntino e aiutare con un grappino la digestione. Contrariamente a quello che pensa la gente all'osteria ci sono fior di galantuomini non soltanto ubriaconi o quelli che non fan niente, ci sono quelli che cantano meglio dei cantori del Duomo e dove