24/11/2024
Il gioco delle bocce era già noto agli antichi Greci, che lo consideravano più un esercizio di tiro e una prova di forza che un vero e proprio divertimento. Furono però i Romani a introdurvi gradualmente nel tempo quelle regole che vengono tuttora applicate dagli appassionati di questo gioco. In Francia, sotto
il regno di Carlo V, il gioco delle bocce, rimasto nell’ombra per secoli, ebbe un tale risveglio di popolarità che le autorità, per frenare l’invadente estendersi del fenomeno, segnato spesso da comportamenti di estrema litigiosità, furono costrette a proibirlo.
ll divieto, tuttavia, non ottenne il risultato sperato e i giocatori più accaniti continuarono a praticarlo, prima clandestinamente poi apertamente, nella periferia, in zone che presero appunto il nome di boules vertes, da cui deriva l’attuale denominazione di boulevards che viene attribuita in Francia a taluni corsi e passaggi pubblici.
Anche a Roma, il gioco ha trovato maggiori possibilità ricettive al di là delle mura aureliane (fòr de porta), ma nel nostro caso il motivo va ricercato nell’atavica inclinazione dei Quiriti ad unire la passione dei giochi a quella delle scampagnate e delle conseguenti "pappate" e bevute. All’interno della città il gioco era perrnesso anche durante il potere dei papi, purché, ovviamente, gli incauti giocatori di turno non avessero indirizzato le loro bocce contro le statue e i monumenti, come ammonisce, ad esempio, l’editto del 5 settembre 1656, a firma dei conservatori: Stefano Petrucci, Giuseppe Degli Annibali e Fabrizio Massimi.
Secondo i romani, il gioco delle bocce può essere eseguito in due distinte maniere: a lo sporco (allo scoperto) e ar pulito (al coperto), tenendo conto cioé del tipo di campo sul quale viene effettuata, del tipo di boccia usata (piemontese o romana) e, infine, del pallino adottato (boccino o lecco). Si tralascia di illustrare il cosiddetto gioco a lo sporco, da eseguirsi con le bocce piemontesi perché questo è il gioco adottato e disciplinato dalla Federazione Italiana gioco bocce e ufficialmente riconosciuto in tutto il mondo. Con questo gioco, divenuto ormai un vero sport, e oggi effettuato al coperto, i nostri atleti, tra cui molti romani, hanno conseguito, e conseguono tuttora, importanti successi internazionali. In questo contesto, il nostro intento è invece quello di illustrare esclusivamente la versione romana di questo gioco, indicata come gioco ar pulito e praticata un tempo, a imitazione degli adulti, anche dai ragazzi romani.
Il gioco a la romana e ar pulito si differenzia notevolmente da quello regolamentare della Federazione Italiana gioco bocce sia per quanto concerne le bocce usate che lo svolgimento della partita. Le bocce sono piu grandi (13-14 centimetri di diametro) e contengono un cilindro di piombo (er piommo) di circa 250 grammi, il quale, quando le stesse sono in movimento può sbilanciarle provocandone, talvolta, piacevoli quanto imprevedibili giochi di effetto. Nella picchiata, questo tipo di boccia va lanciata con il palmo della mano rivolto verso il basso. In luogo del pallino, viene preferito un coccio di piatto, e una scaglia di mattone, detto lecco, il quale non potendo scorrere sul campo, rimane quasi sempre nel punto dove è stato tirato, Il campo, detto viale, è protetto da un capannone fatto di tavole per cui si dice che giocare alla romana significa giocà ar pulito. Tale viale (14 metri per 3,50 circa) è circoscritto da palanche (grosse tavole di quattro-cinque centimetri di spessore) e da quattro cavicchi (diagonali d’angolo). Una striscia di terrapieno (cm 80 alle estremità ed un metro ai lati) circonda le palanche creando una specie di corridoio, nei cui segmenti piu lunghi (lati) vengono sistemate le panche, ad uso esclusivo degli spettatori. Sulle pareti laterali vi sono mensole per appoggiare litri e bicchieri, e, al di sopra di esse, lavagne per segnare il punteggio. Il fondo del viale è composto di una massicciata di tufo (trenta centimetri e quindici centimetri di calcestruzzo), schiuma di sapone (scarto di saponificio) e, per coprire il tutto, rena di fiume o di torrente dalla grana un po’ grossa. Questo fondo viene tenuto costantemente umido affinché la superficie del medesimo possa risultare sempre rigorosamente elastica alla battuta della boccia.
ll gioco ha inizio quando un giocatore, appartenente alla squadra designata per sorteggio, lancia il coccio (er lecco) facendolo seguire da una boccia con la quale cercherà di avvicinarsi quanto piu possibile a detto attrezzo. A questo punto, il suo avversario può scegliere fra due soluzioni: o mettere il punto (accostà) o bocciare, cioè allontanare con la propria boccia quella dell’avversario. Se egli crede di poter far meglio del tiratore che lo ha preceduto cercherà di addossare la propria boccia al coccio stesso. Se ritiene, invece, che l’eventuale tentativo di accostamento non possa avere successo, cercherà di rimuovere, cioe de strucchià, con un secco tiro de dritta o a parabbola, la boccia dell’antagonista dalla posizione di preminenza, e, quanto meno, di spostare il coccio quel tanto che basta per mettere contemporaneamente il punto.
Quando tutte le bocce saranno state giocate, cioe calate, la squadra che avrà mantenuto e conquistato il punto avrà diritto ad assegnare a suo vantaggio tanti punti quante bocce sarà riuscita a piazzare più vicino al lecco. La partita si conclude quando una delle due squadre avrà raggiunto per prima il traguardo di dodici punti. E' d’obbligo, tuttavia, consentire, alla squadra avversaria una partita di rivincita (riavuta) allo stesso punteggio, affrontandosi poi con la squadra stessa, in caso di pareggio, in una conclusiva partita (bella) a sedici punti. Ogni squadra ha a disposizione quattro bocce.
Molte sono le espressioni caratteristiche usate dai giocatori romani in questo gioco per definire alcuni loro specifici comportamenti. Per mera curiosità ne citeremo soltanto alcune tra le più ricorrenti. L`appìccico é una particolare conclusione del gioco delle bocce, e talvolta delle carte, che può essere esperita quando le due squadre in competizione sono composte da due giocatori ciascuna. In questo caso, i due giocatori che costituiscono la squadra sconfitta, i quali sono tenuti a pagare metà per ciascuno il vino bevuto, possono concordare di fare fra loro un’ultima partita per decidere chi fra i due dovrà accollarsi l’intera spesa.
Questo conclusivo scontro, dalle finalità esclusivamente economiche, viene detto l’appiccico proprio perché ciascuno dei due contendenti tenta di appioppare, cioè d ’appiccicà, al compagno la propria perdita. Bacià la vecchia era la punizione che veniva affibbiata un tempo ai giocatori che nell’arco di un’intera partita non fossero riusciti a realizzare neppure un punto.
A tale riguardo il Chiappini ricorda che, in un viale ai Prati di Castello, vi era, disegnato sul muro, il ritratto di una terribile vecchiaccia sul quale i molti giocatori di bocce operanti in loco facevano battere, nel caso predetto, il muso agli sconfitti. Con l’espressione coje de griffe e dà de griffe si intende invece definire il colpo inferto alla boccia dell’avversario senza far toccare terra alla propria boccia. In questo caso, se il tiratore fallisce il colpo, rasentando la boccia ferma del contendente senza farla muovere, dicesi che "ha pelato la boccia". "Strucchià" (o trucchià) significa colpire con la propria boccia quella dell’avversario per allontanarla dal pallino o dal lecco. Mettere nel gioco dell’accostamento (er gioco liscio) una boccia in modo che risulti perfettamente attaccata al pallino o ar lecco significa aver posto una boccia a capannella.
Per botta co strucchio e pallino fuggente si intende invece il colpo secco e preciso inferto da una boccia contro quella di colore opposto situata vicino al pallino, con lo scopo di rimuovere sia la prima che il secondo e di rimettere tutto in discussione. In senso figurato l‘espressione vuole illustrare un tipo di scarsi complimenti che, fin dalle prime battute, fa capire al proprio interlocutore che con lui non c’è nulla da fare.
liberamente tratto da "I giochi a Roma di strada e d'osteria" di G. Roberti