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Il gioco della morra

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LA MORRA A ROMA

"Quattr!", "Tre!", "Cinq!", "Sétt!", "Do’!", "Tutta!".
Uno scoppiettio di numeri più o meno dialettizzati, una cascata di suoni ridotti alla minima emissione di fiato, un saettante vibrare di combinazioni appena intuite negli occhi dell’avversario e subito trasmesse alla magia delle dita e al mezzo trasmittente della voce: questa la morra. L’origine di questo gioco si perde nella notte dei tempi, ma è comunque provato che gli antichi romani fossero tra i primi a praticare l’arte del micare digitis (vibrare con le dita). Furono, infatti, proprio gli oziosi soldati di stanza nella capitale dell’Impero a diffondere il gioco della morra durante i tediosi periodi di inoperosità, all’interno dei posti di guardia e delle caserme. Presto, le regole della morra, uscite dall’ambito militare e invaso piazze, strade e taberne, si propagarono in tutta la citta, al punto che il console Roscio, nel tentativo di arginare la tumultuosa divulgazione del gioco fu costretto a emanare la famosa lex Roscia (legge Roscia), la quale prevedeva addirittura l‘esilio per i più incalliti estimatori della morra. Ma, anche fuori di Roma, i soldati impegnati in battaglia si portarono appresso, quale litigiosa e rumorosa cultura, l`arte di giocare a micatio. Francis Wey conferma, in proposito, che i nostri progenitori usavano giocare alla morra anche sotto le mura delle citta nemiche assediate. Giggi Zanazzo, in Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma fa cenno all’esistenza di un bassorilievo greco, nel quale, il petulante Ajace è vinto (alla morra) dal saggio Ulisse alla presenza del vecchio Nestore. Gioachino Belli cita questo gioco nella seguente terzina estratta dal sonetto intitolato L'Aducazzione, del 14 settembre 1830:
... Quanno ggiuchi un bocale a mmora, o a boccia,
Bbevi fijjo; e a sta ggente bbuggiarone
Nu ggnene fà rrestà mmanco una goccia...
Ma, al di la di questi illustri precedenti, la morra, svago dei poveri, è gioco caratteristicamente italiano da tempo immemorabile. Scomparsa dalle grandi città, sfrattata dalle zone più sviluppate, la morra ha trovato nelle aree economicamente depresse un giustificato motivo di sopravvivenza. In alcune di queste zone, la vita si svolgeva, fino a qualche decennio fa, entro il binario morto di una perenne indigenza. Pochi i sogni, scarse le prospettive, netti i contrasti, essenziali i sentimenti e le passioni. I giochi rispecchiavano l'ambiente e la precarietà della vita che vi si conduceva: erano rudi, semplici. parsimoniosi, chiassosamente adatti a una parvenza di sfogo. La sera, dopo la frugale cena, o durante gli uggiosi pomeriggi domenicali, chi non giocava a briscola, a tressette o a scopone, non aveva che una alternativa: la morra. Poi quando i più giovani si decidevano a mettere quattro stracci in una valigia per tentare altrove fortuna, le regole della morra facevano parte idealmente di quel dimesso bagaglio. Per questo, a Marcinelle come a Charleroi, a Lillè come ad Amburgo, il grido della morra volava spesso di baracca in baracca, ed era come un canto patriottico inciso in una mano che ognuno poteva riascoltare, giocando.
La regola del micare digitis (dico micare e non miccare...) viene così sintetizzata da Jacopo Gelli:
Si gioca con la mano da due contrari, i quali, si fissano per indovinare le dita che spiegherà l'avversario al momento di calare il pugno destro, tenuto chiuso e in alto. NeIl`abbassare il pugno ognuno stende velocemente e contemporaneamente le dita, gridando un numero tra due e dieci, e se il numero gridato corrisponde alla somma delle dita distese, si segna un punto a favore dell‘indovino. Se la somma delle dita è indovinata dai due giocatori il colpo è nulIo. Il giocatore che per primo raggiunge i punti stabiliti vince.
A proposito della posizione da assumere nella morra, va subito detto che a Roma, e nel sud d’Italia, è d’uso giocarla in piedi, mentre nel Veneto e in genere in tutto il settentrione, si gioca stando seduti. In quest’ultima posizione, il braccio destro dei giocatori, poggiato sul tavolo, ha scarsa mobilità mentre la mano, ora mostrando il dorso ora il palmo, si scatena in una frenetica danza di dita e di combinazioni.
La morra può giocarsi fra due, quattro o più giocatori, purché di numero pari, in modo di poter formare due distinte squadre, poste una di fronte all'altra. Il giocatore che in una competizione a squadre riesce a strappare il punto al rispettivo avversario, deve affrontare obliquamente l'antagonista del primo compagno, del secondo, del terzo e così via. Ne deriva che potenzialmente un qualsiasi giocatore potrebbe battere, da solo, l’intera compagine avversaria. Il punteggio da realizzare per vincere una partita varia a seconda che la stessa venga giocata da due o da più giocatori. Nel primo caso, si può scegliere fra due manches a 12 punti (eventuale bella allo stesso punteggio) o un’unica partita a 16 punti, cioe, come si dice in gergo, a finì. Nella seconda ipotesi, viene seguito il criterio dell’unica manche a 16 punti, salvo diverso uso locale. In ogni caso è ammessa la rivincita (la riavuta). La morra, mancini esclusi, si gioca con la mano destra, mentre i punti acquisiti si conteggiano, a mano a mano, con la mano sinistra, partendo dal mignolo. A proposito di questa gentile e stonante contabilità digitale è ancora Antonio Baldini che osserva molto simpaticamente: "...mi ha sempre divertito in questo gioco, dove tutto - positura, gesti e voci - dice una violenza plebèa, veder uscire fuori dal pugno quel ditino aggraziato come di vecchia dama che porti alle labbra una tazzina di té..."
Realizzati cinque punti, i giocatori battono le mani per sanzionare la cinquina acquisita e per significare l’inizio di un’altra. A proposito di questa scrocchiata de mano si usa dire: "Chi sculaccia nun perde", cioé, chi raggiunge per primo cinque punti ha buone probabilità di assicurarsi la partita.
Le chiamate delle combinazioni debbono essere scandite in modo chiaro e preciso, cioé non debbono essere ciancicate o strisciate fra i denti. Ciò affinché non si possa equivocare sul loro significato. Il punto eventualmente realizzato in mode poco ortodosso viene annullaito. Da ciò prendono spesso l’avvio fioritissimi scontri verbali, litigi e scazzottature che sfociano qualche volta nel dramma e che fanno della morra un gioco pericoloso e proibito (art. 110 TU leggi di P.S. 18/1/31 n. 773 et art. 210 relativo regolamento 21/1/29 n. 62).

liberamente tratto da "I giochi a Roma di strada e d'osteria" di G. Roberti