04/12/2024
Elogio dell'Osteria " Int di Ostaríe " (Gente di osteria) di Ezio Toneatto
Potrebbe sembrare un insulto, quasi l'identificazione di tanti perdigiorno annoiati e disoccupati per professione, gente disimpegnata dal sociale, dal mondo produttivo e dalla realtà delle proprie famiglie; ragazzi e adulti che ciondolano da un bar all'altro che bruciano la giornata al tavolo del biliardo o a quello delle carte senza dare un senso alla propria vita, potrebbe essere proprio così se non fosse esattamente il contrario, e mi spiego: senza dubbio io sono un osservatore "imparziale"?! del mondo che ruota intorno alle osterie e questo per due ragioni, la prima delle quali è che io in osteria ci sono nato, la seconda che, vuoi per professione (da trenta anni mi occupo di vino), vuoi per scelta di vita, in questo habitat mi riconosco, mi ci ritrovo e, quindi lo amo.
Secondo me, la forma aggregativa dell'osteria è l'espressione massima della democrazia spontanea, quella che spinge la gente a stare assieme al di là di ogni differenza culturale o socioeconomica e nessun altro tipo di associazione gode della stessa libertà.
Se pensiamo ai circoli politici o a quelli religiosi, ai dopolavori, ai clubs, alle società sportive o culturali o ad altre forme di vita in comune, ci accorgiamo che sono legate ad un filo conduttore, da un comune denominatore che diventa una premessa da accettare, una "conditio sine qua non" che ispira la filosofia di certe scelte e che dichiara, con ciò, reali o presunte affinità.
L'osteria no, l'osteria è l'esatto contrario, non prevede affiliazioni, è un insieme di avventori eterogenei: diversa estrazione sociale, diverso credo politico, diverso spessore culturale; frequentano il medesimo posto perché si trovano bene e perchè stanno bene insieme. La vera osteria è aperta a tutti senza distinzioni di sesso, di razza, di culto o di capacità, ognuno porta il proprio bagaglio ed è in questo incontro di esperienze così diverse che ci si arricchisce. Nulla è dato per scontato, il grande ingegnere o l'ultimo bracciante seduti al tavolo della briscola vedono il proprio background azzerato e la ripartenza, per mutuare un termine calcistico, avviene da posizioni assolutamente paritetiche.
Ci sono giochi di carte o di biliardo che mettono a nudo capacità manuali e intellettive inaspettate, pura intelligenza che trova il modo più semplice per esprimersi lì dove non ci sono privilegi che contino; o ci sei, o non ci sei, a prescindere da ogni altra considerazione.
Ho conosciuto gente che, giocando a terziglio, per esempio, sì è rivelata sensibile, astuta, arguta ben più di titolati avversari e non per mera abilità dovuta ad una maggior frequentazione di quel gioco, bensì per quella sottile intelligenza, quella profonda cultura popolare che permette anche ai più umili di esprimersi al meglio di sè stessi dimostrando che, a volte, la differenza è fatta solo dalla diversità delle opportunità avute.
E' quindi, quella dell'osteria, una palestra di vita dove si impara a confrontarsi con idee diverse dalle proprie, a discutere e ad accettare anche un credo diverso dal tuo; non è certo una università delle belle maniere, a volte i modi sono bruschi e i toni accesi, ma certe rudezze sono frutto più di atteggiamenti che di malanimo, è un mondo non incline al buonismo, la carità è vista con un malcelato senso di fastidio, mentre trova terreno fertile la solidarietà; di fronte ad un problema serio nessuno si tira indietro e se l'intervento, manuale o finanziario, è mirato a coprire una vera necessità, la partecipazione sarà sempre di tutto rispetto.
L'oste o, in modo più compiuto, ospite è il fulcro di questo ambiente. Un buon oste sa rendere piacevole anche una stamberga, un cattivo gestore rende infrequentabile il posto più rappresentativo. Sembra un assunto lapalissiano, ma non è così. Ancora oggi, molta gente pensa che mescere qualche bicchiere di vino, affettare e servire qualche salume sia il mestiere più facile e redditizio del mondo. Ho visto imprenditori vuotare ambienti che prima pullulavano di clienti, ho visto gente rovinarsi economicamente intestardendosi a gestire un'attività che non gli era congeniale così come ho avuto il piacere di conoscere persone che con costanza, capacità, "cinq francs di mone ta sachete" ed una predisposizione al lavoro ed al sacrificio, hanno realizzato delle vere fortune nelle proprie osterie.
Una di queste è proprio la "Tavernetta" di Porpetto, dove noi sangiorgini sciamavamo alla ricerca di "fantazinis, vin bon e compagnie".
Eravamo nel bel mezzo degli anni sessanta, il mondo era un fermento di idee e iniziative di ogni genere, erano ormai alle spalle sia la guerra che il dopoguerra, c'era in tutti una frenesia nuova che coinvolgeva anche noi dell'estrema provincia.
Grado e Lignano con le loro luci ci ammaliavano e ci attiravano, il twist, il rock, i Platters, Mina, Elvis Presley, tutto era nuovo ed elettrizzante. Nonostante ciò il porto sicuro, la tappa quotidiana era sempre Porpetto dove, a dire il vero, erano due le realtà che ci aspettavano: "Là di Balote", dove la domenica si faceva il pane in casa e la "Tavernetta".
I due ambienti facevano capo alle sorelle Dirce e Clelia Zaina, che avevano due splendide figlie a nome Teresa la prima e Caterina la seconda, due ragazze simpatiche e sempre presenti nei nostri sogni giovanili. Anche noi eravamo divisi in due gruppi e tra i primi, nati negli anni trenta e quindi coetanei di Aligi e di Elsa, ricordo Ferruccio Facini il "speziar", Mario Glove, Jano Cinti, mio fratello Beppino, Vittorio Barbui, Bertuti, il Pop, il Tato e via via fino a comporre un gruppo di una ventina di persone alle quali ci affiancavamo, di anno in anno sempre più presenti, noi di dieci anni più giovani, visti con egual simpatia nonostante il gap generazionale non fosse indifferente per quegli anni. Anche il nostro era un gruppo numeroso, anzi senz'altro il più numeroso, dato che gli anni quaranta hanno registrato il rientro dei combattenti, la ricomposizione delle famiglie e la conseguente esplosione demografica.
Come tutte le compagnie anche la nostra aveva i suoi punti di riferimento e allora ricordo le capacità organizzative di Lorenzino, la creatività di Aldo, la disponibilità e la continua dimostrazione di amicizia del Fànt, la bonarietà di Sergio, le capacità tecniche di Angelo, la grinta di lco, la bontà di Accio, un insieme di personalità ricche di umanità alle quali, non ho mai visto perseguire un fine scorretto o malvagio. Oggi può far sorridere un mondo così ingenuamente entusiasta, eppure era proprio così, non capisco come mai poi si sia potuto scivolare nell'aggressività e nel cinismo della vita attuale. Contraltare di queste compagnie erano gli abitanti del posto, Zian Capelòn, gran cacciatore, Stiefin, Balala e so pàri Nicole, Sauro, Enzo Grop, anche qui una galleria di personaggi con cui ci siamo integrati ed assieme ai quali abbiamo trovato lo spunto per le nostre ricerche culinarie ed enoiche.
La festa dei "Nemoràz dal Purzit" rappresenta forse il giusto compendio di queste amicizie, di questo modo di intendere la vita perchè è l'occasione per ritrovarsi attorno ad un tema che ci è familiare quanto la friulanità, se per questa si intende l'amore per la propria terra e per le sue tradizioni.
Quando nel sessantotto buttai giù la prima strofetta in friulano per celebrare la prima festa degli innamorati del maiale, non potevo certo pensare che mi sarei ritrovato a distanza di trent'anni a farne l'elegia; questo è dovuto alla continuità ed alla capacità della famiglia Grop, che ha fatto si che questa festa diventasse una tradizione nella Bassa Friulana e qui voglio ricordare i protagonisti di questa saga familiare da Aligi a sua madre Clelie, da Elsa ai figli Mary, Ezio, Grey e Clia, che negli ultimi anni hanno saputo continuare la ricerca della qualità con la giusta costanza.
Oggi ci propongono una cucina curata, tradizionale e rinnovata allo stesso tempo, alla quale si uniscono una scelta di vini di sicuro prestigio ed un servizio puntuale e gradevole.
Qui, per questa festa, è passato mezzo mondo, un mare di gente di osteria che, secondo i canoni fin qui espressi, si è ritrovata, si ritrova e si ritroverà per il piacere di stare assieme in serena amicizia.
Io e mio fratello Beppino abbiamo sempre fatto parte di questa gente, siamo sempre stati "animali da osteria", lui anche più di me ed è al suo ricordo che dedico queste mie poche riflessioni e queste mie nostalgie. So di non aver citato molte persone, la vita in questi trent'anni ha avuto ben più numerosi protagonisti ma, per parlare di tutti, avrei avuto bisogno di uno spazio infinito e di una migliore memoria.
Mi scuso, quindi, e li invito, come parziale riparazione, ad alzare il calice con me in un virtuale brindisi con tutti gli amici che interverranno a questa nostra splendida trentesima "Fieste dai Nemorâz dal Purzìt".